A proposito di storie…

La felicità, la scienza e le tecnologie immersive. Dai giochi ai videogiochi al nuovo protagonismo in Rete. Quali narrazioni per le donne e gli uomini di domani?
Storie

Qualche anno fa, durante un convegno scientifico, un famoso neurologo affermò che se la scienza vuole riuscire a sostituire la religione nella vita delle persone, deve iniziare a raccontare storie, deve cominciare a parlare di argomenti più vicini alla quotidianità della gente.

Detto fatto, negli ultimi anni temi come dolore, amore, bene e male, valori, sentimenti e simili sono passati da argomento riservato a letteratura, poesia, filosofia e religione, ad oggetti di studio da parte di scienze cognitive e neurologiche.

E nella lista non poteva mancare la felicità. Nell’ultimo festival delle scienze di Roma l’argomento unico era proprio questo, trattato da vari punti di vista, dal sesso alla cucina, dal consumismo alla democrazia, dalla filosofia alle neuroscienze. Nel dibattito su “La felicità nel cervello e nella mente” due ricercatori di fama,  lo psicologo Daniel Nettle e il neuroscienziato computazionale Shimon Edelman, si sono confrontati sui fondamenti evolutivi della felicità. Alla fine però qualcosa non deve avere funzionato al meglio perché, nel dialogo finale col pubblico, una signora si è lamentata di come era piatta e poco interessante la visione scientifica della felicità.

Forse la signora aveva un’aspettativa errata ed esagerata sul contributo che la scienza può dare ad un argomento di cui si discute (invano?) da millenni. O forse il parlare dei due esperti era stato un tantino presuntuoso, visto che una cosa è raccontare quali circuiti cerebrali si attivano quando siamo felici, un’altra è filosofeggiare su cosa sia la felicità: quest’ultimo aspetto lo sanno trattare decisamente meglio poeti e narratori.

In realtà avevano ragione entrambi: gli scienziati perché quello è il loro mestiere, studiare le basi biologiche della felicità per capire come aiutare (con farmaci o terapie) le persone depresse o troppo malinconiche. La signora perché la felicità ha molto a che fare con i colori della vita, colori che la scienza difficilmente riesce a vedere o raccontare.

Comunque sia, ascoltare storie fa parte del nostro essere uomini, fin da quando abbiamo cominciato a raccontarle intorno ai primi fuochi degli accampamenti della preistoria. Con una novità: nel nostro tempo ipertecnologico, gli utenti non vogliono più solo ascoltarle le storie, bensì esserne protagonisti. Come succede nei giochi dei bambini e nei videogiochi dei grandi.

Si chiamano tecnologie “immersive”, quelle in cui il giocatore entra a tutti gli effetti a far parte della storia, magari condividendola in tempo reale con altre decine o migliaia di persone in Rete.

Se questo è vero, però, vuol dire che il mondo sta cambiando anche per gli editori di libri, riviste e giornali. In una recente intervista per La Lettura, il giornalista Frank Rose si meraviglia del fatto che le case produttrici continuino ancora a concepire libri e CD come oggetti fisici da comprare e consumare da soli, mentre invece «le persone vogliono condividerli… le persone amano le storie e vogliono far parte delle storie».

È giusto. Non saremmo uomini se non fosse così.

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